Vai al contenuto

Presìdi Slow Food

15 novembre 2007

Siamo sicuri che i Presìdi  Slow Food  sono realmente quello che crediamo che siano? Perchè io non ne sono affatto convinta. Mi sembrano un’operazione  ambigua che ha come scopo principale aumentare la visibilità della stessa Slow Food. In sostanza, marketing. Importante per  l’organizzazione in questione, un po’ meno per la cultura di territorio che si fa vanto di difendere.

Il presupposto che è alla base dell’iniziativa è lodevole. Chi potrebbe dichiararsi contrario alla difesa del patrimonio enogastronomico nazionale? Ma non è questo, infatti, il punto. Quello che mi disturba è che dietro il velo dell’impegno civile, Slow Food ha deciso di raggiungere il suo obiettivo adottando una logica commerciale, creando cioè un mercato a prodotti che sono piccolissime produzioni locali, spesso addirittura confinate all’autoconsumo, e perciò destinate a scomparire senza un adeguato intervento esterno. Slow Food ne ha scelte alcune che garantisce con il proprio marchio, generando in questo modo una domanda che i produttori coinvolti non sono spesso in grado di soddisfare. Se date un’occhiata qui vi potete rendere conto che ci sono due gruppi di prodotti: animali e piante, da un lato, e formaggi e carni stagionate, dall’altro. Ritengo che il mercato possa aiutare solo nel primo caso perchè si tratta di preservare dalla scomparsa delle specie – come l’asino ragusano della foto, con lo scopo evidente della tutela genetica. E fin qui tutto bene.

Nel caso del secondo gruppo, formaggi e salumi, si tratta solo di marketing  perchè il prodotto può continuare ad essere frutto del proprio territorio e mantenere la  tipicità solo fuori dal mercato, o se il suo mercato è veramente di nicchia. Appena un prodotto diventa un presidio, la domanda cresce e l’offerta si adegua aumentando la produzione, con la conseguente inevitabile perdità di tipicità e di qualità.  La tutela di alcune produzioni storiche che hanno valore in quanto cultura del territorio può avvenire solo attraverso la tutela del territorio. Non si tratta di trovare un mercato a qualche formaggio, cosa che lo farebbe  sparire comunque, ma più semplicemente garantire la loro sopravvivenza. Bisogna allora agire a livello soprattutto legislativo, consentendo la sopravvivenza di chi quei formaggi li fa. Poi se qualcuno li vuole mangiare, vada dove li producono. L’Italia, ad esempio, non si cura minimamente dei suoi pastori, cosa che invece fanno Francia e Spagna. La pastorizia per la normativa italiana in pratica non esiste. Cosa fa Slow Food a questo proposito? Fa pressione sui nostri parlamentari perchè le cose cambino realmente? E’ presente a Bruxelles per contrastare l’ottimo lavoro di lobbing che portano avanti le corporations dell’agroalimentare?

Aver inserito tra i presìdi la focaccia classica genovese o il lardo di Colonnata mi sembra francamente solo fumo negli occhi. I presìdi dovrebbero essere uno strumento operativo e non di marketing.

14 commenti leave one →
  1. 16 novembre 2007 7:07 am

    Mah io ho sempre dubitato di questa organizzazione. Ne ho fatto parte per un periodo ma mi è sembrata una cosa gestita da pochi a sfruttare tanti.
    Ciao mia cara.
    Marco

  2. 16 novembre 2007 9:47 am

    ero socio della prima ora, quando il clima era ancora quello della grande famiglia…
    ma dopo un decennio ho gettato la spugna!
    apprezzo tutto cio’ che esalta, tutela, divulga il mondo che ruota attorno al cibo.
    ora pero’ sentire pistolotti accademici da parte di dubbi soggetti e ritrovarmi a non potermi + permettere la quasi totalità di quei prodotti, perchè ormai cosi’ tanto esaltati e divulgati che diventando quasi oggetti di culto vengono proposti a prezzi di oreficeria!
    alla fine è proprio vero che il business fagogita tutto… io tutt’oggi preferisco ancora fagogitare altre cose… :-))

    FF

  3. giuseppe permalink
    16 novembre 2007 11:08 PM

    In linea di principio sono d’accordo con te. Slow food la conosco solo per le pubblicazioni che ogni tanto compro e per quello che si legge in giro: non sono ancora un moicano in estinzione, quindi per ora non mi presidia nessuno. Pero’ mi chiedo se questa specie di globalizzazione al gorgonzola DOP sia solo colpa loro o se invece non sia il risultato di un insieme di fattori concomitanti. Mi chiedo per esempio come sarebbe questo mondo godereccio senza internet e soprattutto senza i food loggers. Mi chiedo se solo di televisione vivendo, arriveremmo ugualmente ad interessarci degli sgrizoi sott’olio. Non ho necessariamente le risposte, pero’ ti faccio un esempio che mi riguarda: il televisore non ce l’ho, qualunque informazione mi arriva praticamente solo via web, e da quando ho scoperto tutta sta’ gente fissata col cibo, ho scoperto prodotti che non pensavo neanche potessero esistere. Ora mi chiedo nuovamente: e’ solo colpa di SF o diciamo che c’e’ piuttosto una moda generalizzata del riscoprire e soprattutto far scoprire prodotti estremamente locali e possibilmente anche genuini (moda dovuta anche ad SF ovviamente)? Ogni tanto ho il sospetto che a questa nuova caccia al genuino abbia contribuito piu’ la mucca pazza che non SF e soci. Ormai siamo arrivati ad aberrazioni enormi come le grandi discussioni piuttosto accese che ogni tanto vedo in giro sui blog proprio riguardo i prodotti tipici: guai a parlare di cucina fusion o comunque di ricette che non rispettano i canoni del “mammá lo fa cosi’ e basta”. Come tutto nella vita, la verita’ forse é un po’ nel mezzo: ci vuole il giusto di SF ed il giusto di fantasia personale. Ed e’ forse solo compito nostro mantenere questo ipotetico giusto equilibrio. Personalmente ritengo, che comunque benvenga ogni tipo d’informazione che amplia le mie vedute (gastronimiche anche). Poi magari non riusciro’ mai a mangiare il salamino tal dei tali, o forse si. Forse non sara’ piu’ come quello che faceva il nonno di mammá, o forse almeno gli somiglierá. Comunque il cibo si evolve, come una lingua o come una razza animale: migliora, peggiora, si estingue, si credeva estinta ed invece rinasce. Credo sia fisiologico. Quindi, sempre forse, dovremmo insegnare ai nostri figli e nipoti prima di tutto a ragionare con la proprioa testa, a saper leggere tra le righe, a non farsi fregare, a capire per esempio che comprare prodotti freschi locali non e’ solo una fissa del genitore macrobiotico ma anche una forma di dovere ambientale (piu’ lontano = piu’ trasporto ed inquinamento).
    Ok ok… basta cosi’ a porsi troppe domande… senno’ finisce che scrivo il solito madornale (trad: elucubrazione troppo lunga, tipo madrigale).
    ciao
    Giu

  4. 17 novembre 2007 7:57 am

    @Giu
    Quanta carne al fuoco!
    Certo, SF è una parte della società ed espressione del suo tempo, e sfrutta quello che c’è da sfruttare. Sono critica nei confronti dei presìdi perchè non credo che il loro obiettivo reale sia quello dichiarato. Poi SF è sicuramente anche altro.
    Sull’utilizzo della rete non ti illudere, in Italia – benchè in crescita – è ancora marginale.
    Ti sei divertito con la rissa su kataweb? Quello è il ventre molle del Paese. E nessuno di loro legge – ovviamente – tra le righe.(Che poi insegnarlo ai nostri figli significa fare la rivoluzione.)
    Infine credo che i cambiamenti epocali in atto travolgeranno necessariamente molte cose, è illusorio pretendere di salvare tutto. Dobbiamo realisticamnte decidere cosa vale la pena di essere salvato, e cosa può essere salvato.
    Ciao e buon weekend

  5. 18 novembre 2007 12:19 PM

    dici bene, Maruz… marketing. A volte marketting, delle più becere fattezze. Con i rischi che hai ben evidenziato. Una sorta di apartheid intestina alla tipicità territoriale.
    Esempio? La lenticchia di Onano. Tutte le lenticchie di Onano hanno una loro specificità distintiva, che le rende apprezzate (ed apprezzabili) everywhere. Ma solo quelle di pochi produttori sono Presidio SF.
    E lo dice uno che ci sta dentro. Ma ha la lucidità intellettuale per vedere dove si fa bene, e dove le logiche sono contestabili.
    Questioni di inconciliabilità tra mercato e filosofia.

    Hasta pronto

    F

  6. 19 novembre 2007 8:35 am

    Cara Maruzzella, non finisci mai di stupirmi: non esiste in giro un foodblog tanto poco fighetto quanto “impegnato” ;)
    Be’, la cosa che mi convince di più del tuo discorso è la riflessione su quanto faccia l’Italia per proteggere le specie a rischio (pastori compresi). Quello che mi convince meno è il discorso sul “commerciale”.
    Es. La cioccolata modicana. Non è un presidio slow food, ma ha ricevuto un lancio commerciale molto simile. Che è successo? A decine, forse a centinaia si sono improvvisati produttori di cioccolata di qualità discutibile. Anche al nord le pralinerie sfoggiano le confezioni di carta colorate a 3,50 (TRE EURO E CINQUANTA!) euro l’una. Ma la dolceria Bonaiuti resta un riferimento assoluto, e chi vuole la qualità si rivolge a loro, anche via internet. Voglio dire: quest’operazione commerciale ha messo in giro quintali di cioccolata scadente, ma ne ha tratto beneficio anche chi produce quella buona.

  7. 19 novembre 2007 2:42 PM

    @Ferrigno
    Benvenuto e grazie del complimento! Hai colto perfettamente il senso del mio approccio al cibo che definirei ‘militante’ (oddio!). Pensa che quando ho iniziato ho fatto la scelta dura e pura di scrivere soltanto. Chi mi leggeva il cibo doveva immaginarselo. Del resto credo fermamente nel potere evocativo delle parole.
    Sul “commerciale”, il mio discorso riguarda strettamente SF. La cioccolata è diversa dal formaggio e ha delle possibilità commerciali diverse. Cmq sono certa che anche l’Antica Dolceria Bonaiuto per mantenere questa qualità deve restare entro determinati limiti produttivi.
    Ciao

  8. 20 novembre 2007 4:22 PM

    Così come siamo sommersi, in questi ultimi due-tre anni, da Lardo di Colonnata che di Colonnata non è (e non potrebbe essere). Se tutto il “lardo di Colonnata” che vediamo in giro fosse VERAMENTE “di Colonnata” beh… questo paesetto dovrebbe aver raggiunto una popolazione vicina al milione (e tutti non dovrebbero far altro che produrre lardo).

    Per fortuna quello “vero” si riconosce per colore e profumo (ma, purtroppo, non tutti lo sanno riconoscere e ti spacciano per “colonnata” delle ciofeche industriali…)

  9. alfonso permalink
    24 novembre 2007 3:02 PM

    Buonasera a tutti. Scusate è un commento di prova.

  10. lorenzo permalink
    5 dicembre 2007 7:27 am

    Lardo di Colonnata? Fortunatamente esiste il presidio che funziona ed è sostenuto dall’associazione di tutela del lardo di Colonnata, e non è fumo negli occhi, qui sbagli.Negli ultimi dieci anni tutti hanno iniziato a produrre questo lardo, ma quello vero, originale, con un disciplinare rigido è solo quello dei presidi. Di qui non si scappa.
    ciao

  11. 5 dicembre 2007 7:36 am

    @Lorenzo
    L’associazione di tutela del lardo di Colonnata ha deciso di appoggiarsi ai presìdi, ma un marchio a garantire il disciplinare avrebbe potuto darselo comunque.

  12. lorenzo permalink
    5 dicembre 2007 11:27 am

    Ma chi è che ha “scoperto” il lardo di Colonnata? Slowfood o l’associazione?

  13. fede permalink
    8 dicembre 2007 8:41 am

    Ha ragione lorenzo. Spesso per riempire il proprio blog si scrivono sciocchezze senza conoscere la realtà delle cose . E questo è uno di questi casi.

  14. Augusto permalink
    2 gennaio 2009 11:39 PM

    ciao a tutti…bè io sono capitato quì perchè cercavo notizie per ampliare le mie conoscienze sullo slow food( sto elaborando una tesi sulla certificazione di qualità nella filera ovi-caprina) e le cose che ho letto poco fa da voi sono molto interessanti e pine di sfaccettature che pultroppo non mi permetteranno di ampliare la tesi( perchè vorrei farne tanta polemica nella tesi ma capite bene che forse un elaborato del genere deve stare un pò tranquillo!)però è sempre interessante e formativo sentire le diverse visioni .Sono daccordo con ferrigno ,perchè è successo lo stesso panico nel settore degli struzzi ,quando si incrementò l’importazione di carne africana a prezzi veramnte concorenziali ,con la paura di rovinare il mercato italiano!!!(Come se sessi gridando!!):”ma cavolo ,bisogna cancellare la mentalità di fare le cose in grosso!!!siamo uno stato di piccole dimensioni!!dobbiamo fare solo qualità!!!Xchè gli struzzi?perchè l’importazione di carne africana avrebbe (logicamente in tempi medio-brevi)permesso di valorizzare la produzione italiana!!e se un sistema del genere si può pensare per un prodotto che non è il nostro…bè a voi la parola!
    sono daccordo con LOrenzo..SF deve essere visto come complementare a un lavoro di passione come quello di un’associazione!
    Saluto tutti gli zootecnici della calabria!

Scrivi una risposta a Augusto Cancella risposta